In un contesto economico mondiale di sempre piú grande complessità, lo sport, in quanto forse non propriamente considerato da decisori e certe categorie di stakeholder come attività primaria, è uno dei settori che può risentire maggiormente di shock esogeni (come quello della pandemia) e possiede un bisogno continuo di reinventarsi in promozione e modalità per cercare di essere quantomeno sostenibile per i propri investitori e assolvere al suo invece importante ruolo sociale.
Tra gli ambiti più di interesse in cui lo sport deve pensare queste contromosse certamente è presente il processo di raccolta fondi: il modello di business basato su donazioni e immissioni di capitale da parte di magnati alla ricerca di soddisfazioni e visibilità dal possesso di società sportive è infatti negli anni diventato sempre più raro da trovare, quantomeno nel panorama professionistico di alto livello, imponendo alle realtà sportive un ripensamento della propria gestione.
Nel contesto del citato professionismo di alto livello, nel calcio una partita decisiva è stata giocata dal Financial Fair Play dell’UEFA che, in ottica di rendere più sostenibile il movimento, con il suo regolamento ha incentivato i club a propendere per fonti quali biglietteria, diritti di diffusione, sponsorizzazioni e commerciale, portando già nel 2016 un segno meno nel peso delle donazioni (-12%, The European Club Footballing Landscape, UEFA) sul totale dei finanziamenti dei club. Tali club hanno avuto a disposizione ingenti entrate grazie all’esponenziale aumento dei proventi dalle cessioni dei diritti audiovisivi a TV e OTT, proventi che accompagnati ad un’oculata gestione sportiva e amministrativa certamente hanno aiutato i club ad avere una fonte certa e stabile sulla quale programmare.
Questa è una situazione che certamente non è comune ai restanti club (calcistici e non) le cui federazioni e campionati, non avendo lo stesso appeal, non possono certo contare su tutto ció e devono necessariamente trarre il massimo da ogni possibile fonte. Appare quindi utile proporre una panoramica di diverse tipologie di raccolta fondi, riportandone una breve descrizione:
Raccolta fondi da imprese private:
Raccolta fondi istituzionale:
Raccolta fondi “dalla folla” (crowdfunding):
Erogazioni liberali:
I club, innanzitutto conoscendo se stessi, possono sfruttare le potenzialità derivanti da alcune di queste tipologie di raccolta fondi. Le iniziative di crowdfunding sono per esempio utilizzate, oltre che per la quota da raccogliere in sé (anche se l’esperienza del Pordenone con The Best Equity dimostra come consistente possa essere anche nello sport), per creare interesse attorno all’attività del club: basti pensare che i portali abilitati al crowdfunding hanno un enorme seguito dato il sempre crescente interesse ad utilizzare queste modalità per iniziative sociali e innovative (+38% del donation, +95% dell’equity e +75% del lending in Italia nel 2020 – report starteed); serve quindi che, per la riuscita della campagna, essa abbia nella pianificazione e nella presentazione elementi che possano creare interesse tanto in tifosi e realtà imprenditoriale locale quanto in coloro che, venendo a conoscenza dell’iniziativa, la possano sostenere perché accattivati da valori alla base, scopi, attori coinvolti e alleanze che possano dare un plus alla campagna.
Nonostante i grandi numeri in crescita, il crowdfunding in Italia ancora funziona solo per singoli progetti e non certo per un vero scale-up dell’impresa: infatti l’apporto di capitale di rischio (venture capital) in queste forme di finanziamento è ancora di quote molto basse; il crowdfunding diventa allora utile come strumento di finanziamento se integrato con altre fonti come il credito bancario. Le citate alleanze sono alla base anche di altre modalità di raccolta: ossia la partecipazione a bandi, a cui l’appoggio di altri enti del territorio può dare una spinta decisiva, e le iniziative congiunte con le grandi aziende per lo sport volano di impatto nel territorio (periferie, SDGs, rifugiati, etc); insieme ad esse si possono senz’altro considerare le sponsorizzazioni che, in relazione a quanto scritto in precedenza, ormai si avvicinano molto piú a delle vere e proprie partnership, con l’azienda finanziatrice e quella sportiva che lavorano a stretto contatto per raggiungere i rispettivi obiettivi economici.
Tenendo presente che le attività di raccolta fondi sono regolamentate dal legislatore specificatamente per enti non commerciali tra cui rientrano le associazioni sportive, vale la pena sottolineare che tale articolo sia eventualmente da approfondire a seconda dei casi specifici della forma giuridica dei club (ad es. una ASD, non potendo ricevere direttamente fondi tramite equity crowdfunding, può costituire una NewCo - una srl innovativa per esempio - con altre società e non distribuire i dividendi ma rientrare del capitale investito): l’obiettivo dello stesso, in conclusione, è infatti portare alla luce modalità relativamente nuove nella gestione delle attività sportive, aggiungendo un ulteriore argomento a sostegno della dimostrazione che quest’ultime hanno il vero bisogno di professionalizzare al meglio il loro management per sostenere l’attività sportiva che interessa milioni di praticanti e appassionati e che, essendo lontana dalle logiche dei multinazionali top club, combatte ogni giorno per la sua sopravvivenza.
Emanuele Mangano, Logosportrend, 9/21